Marguerite (2015)

Marguerite (4)La baronessa Marguerite Dumont (Catherine Frot) è a tal punto fiera della propria voce da invitare nella sua villa una ristretta selezione di estimatori. Ognuno di essi, dal marito Georges (André Marcon) al maggiordomo Madelbos (Denis Mpunga), la applaudono entusiasti, ben coscienti che Marguerite abbia una voce massacrante, stonata ai limiti del verosimile. Tutti sembrano rendersene conto, tranne lei; qualcuno si chiede come faccia a non capirlo.

Marguerite di Xavier Giannoli è liberamente tratto dalla storia della vita di una soprano (?!) americana, Florence Foster Jenkins. Liberamente. Non è un film biografico, a questo ci penserà Stephen Frears con un’omonima pellicola, in cui Florence sarà impersonata da Meryl Streep. Questa non è nemmeno la storia di una donna messa alla berlina; Marguerite ci scherza su per un attimo, ma superato il riso iniziale, passa a descrivere la rete fittissima di sguardi fra chi applaude, sulle intenzioni nascoste e rivelate, lasciando che la vocazione da diva della donna resti in secondo piano.

Marguerite (9)Florence Foster Jenkins. Narcissa Florence Foster possiede sin dalla nascita velleità artistiche. Studia musica, ma inesistenti progressi non convincono il padre, un ricco banchiere, a pagarle trasferta e studi di musica/canto a Parigi. Lei si vede costretta a rompere con la famiglia: fugge con un uomo, Francis Thornton Jenkins, che sposa, divorziando sette anni dopo. Sola, si mantiene dando lezioni di pianoforte, ma il suo sogno rimane dimostrare la propria grandezza come soprano.

Nel 1909 l’incomprensivo padre muore e la figlia eredita una discreta fortuna, abbastanza da poter frequentare lezioni di canto. Nel frattempo, St. Clair Beyfield sarebbe diventato suo manager e compagno di vita – nonché erede. La luminosa carriera da cantante inizia nel 1912, ma sarà resa ulteriormente splendente dalla morte della madre nel 1928 con il conseguente dominio sull’eredità paterna. Riesce persino a ottenere un contratto con la RCA Victor. L’apice del successo arriverà nel 1944, con il celebre recital alla Carnegie Hall – un tutto esaurito. Un mese e un giorno dopo, muore d’infarto. Se volete cimentarvi con l’ascolto della sua voce, avete una nutrita scelta di arie, fra cui una di Mozart o una di Strauss.

Tryphosa
Tryphosa

Giravano molte voci sulla morte della Jenkins, che si pensava causata delle pessime recensioni di critici che non aspettavano altro che farla a pezzi. Tutt’ora è una delle più quotate pessime voci della storia della lirica, ma c’è chi, pur apprezzandone lo sforzo, la crede seconda a un’altra stella, l’ereditiera di Boston Tryphosa Bates-Batcheller.

Marguerite. A dispetto di quanto potrebbe sembrare, Marguerite e Florence Foster Jenkins potrebbero essere personaggi molto diversi. Certo, entrambe non sanno cantare, entrambe si facevano fotografare nei propri abiti di scena, comprati o confezionati personalmente. Non ho idea di chi sia stata la Jenkins e parlando per impressioni l’idea che mi sono fatta è quella di una donna innamorata di una figura inesistente, particolarmente caparbia, ma poco realista, con un lato divistico/grottesco piuttosto marcato. Certo, Marguerite è anche questo, ma il personaggio della pellicola di Giannoli non ha niente del lato più appariscente che accosterei alla Jenkins. Marguerite è una persona fortemente ingenua e buona; a dispetto della sua voce, non è fastidiosa, se non altro, per me non lo è stata. A dispetto di tutto, non sembra una viziata donnetta dell’alta società, pronta a comprarsi il consenso con i soldi. Se c’è qualcosa di cui possa essere incolpato il personaggio della Frot è proprio la sua assurda ingenuità, assurda al punto da far desistere alcuni personaggi dal raggirarla. Che poi, i soldi, in questo film, sono solo un pretesto, così come la voce sgraziata.

C’è una donna convinta di cantare bene, ma talmente ricca da pagarsi una claque, un marito, una carriera da soprano di coloritura e un contratto discografico… Non è qui che finisce la storia, casomai inizia. Marguerite è la chiave di volta di una struttura più complessa, fatta di fraintendimenti, aspirazioni, tentativi di avvantaggiarsi, menzogne, finzioni. Quando la vediamo per la prima volta, lei entra in scena come di soppiatto, lasciando che siano protagonisti quelli che la applaudono e quelli che, in fondo, provano una certa vergogna a trovarsi lì. Una giovane cantante si chiede come faccia a non accorgersi di stonare. Il marito prova vergogna, ma deve caldeggiare questi incontri. Il maggiordomo Madelbos supporta la donna in ogni frangente, proteggendola e fotografandola, trattandola come una regina, in silenzio. Le reazioni sono molteplici e proprio queste reazioni sono la materia di cui è fatta questa pellicola.

Da un lato, il mondo secondo la rappresentazione dei singoli personaggi, dall’altro le nostre reazioni di spettatori, che mai potremo essere sicuri che i fatti siano interamente come li vediamo. C’è sempre un particolare che può spiazzarci, da una notizia inattesa alla realizzazione che la nostra interpretazione fino a quel momento era erronea.

Marguerite (17)

Diventa allora logico come Marguerite senta cantare alla vecchia gloria che gli farà da insegnante di canto proprio l’aria “Vesti la giubba” da I pagliacci. Ognuno recita una parte e non sapremo mai fino a che punto. Marguerite sembra indifesa di fronte alla realtà, incapace di osservarsi e sempre pronta a illudersi.

Marguerite (13)È anche vero che questa realtà, in fondo, prende tinte diverse a seconda di chi la vive, storpiata per i più diversi motivi o interessi. Quando viene invitata a cantare l’inno francese, Marguerite accetta mossa autenticamente dal desiderio di omaggiare il proprio paese. Sarà stroncata dalla critica, che considera lo spettacolo un oltraggio indegno, nonché sfruttata dagli artisti anarchici, che vogliono una donna che simbolicamente massacri un simbolo del potere costituito. In tutto questo, lei emerge integra, unica persona che non ambisce allo scontro, ma semplicemente vuol fare quello che desidera.

46 pensieri su “Marguerite (2015)

  1. Celeste Sidoti

    Mi mette angoscia solo all’idea 😦 dovrei essere preso particolarmente bene per vedere un film come questo. Quella strana via di mezzo tra vergogna e coinvolgimento é forse il sentimento più difficile per me da provare. E poi ho cantato (non lirica) per qualche anno.

    1. Ecco 😀 posso immaginare… ti posso assicurare che il tutto è trattato abbastanza leggermente, ma sicuramente la tematica non è propriamente semplice da affrontare. La Frot è particolarmente brava in questo, soprattutto sul finale, quando non c’è un accidente di lineare… finché tutto si risolve. E… un po’ di angoscia c’è, obiettivamente. Personalmente mi sono limitata a cercare di imparare a suonare il violino, ma dal poco che ho visto intorno a me (e molto sopra a me per meriti e bravura), il mondo della musica è un vero tritacarne, fra sorrisi falsi e applausi a denti stretti. Anche qui ad angoscia stiamo messi bene insomma…

      1. Celeste Sidoti

        E’ proprio quello il motivo per cui ho mollato col mondo della musica (e anche quello del teatro, dopo averlo preso un pochino in considerazione). Mi piacciono molto gli archi, ma mi pare che sia parecchio difficile imparare a studiarli!

        1. Non mi sono mai voluta cimentare, credevo fosse difficile studiare violino, benché sin da bambina amassi quello strumento in particolare. Ho iniziato a 28 anni e pur essendo in età avanzatissima, al limite del decrepito per iniziare uno strumento, le soddisfazioni sono arrivate. Suonare il violino mi manca, ma suppongo di aver trovato tutto il buono della cosa, con un’insegnante bravissima nonostante la severità (anzi, forse anche proprio per la severità) e senza alcuna fretta imposta da esami o prove varie. Credo di aver fatto un paio di esercizi di solfeggio, sotto minaccia praticamente, ma niente di assurdo. Era veramente un divertimento e non dovevo confrontarmi con nessuno. La pressione però c’è e la sentivo, anche se solo di riflesso. Ogni tanto sentivo qualche barzelletta tristissima su soprani e musicisti… sembrerà una sciocchezza ma faceva capire quale fosse il livello della cosa (la differenza fra un soprano e uno squalo? il rossetto… ahahah e giù risate… come no) fra i veri addetti ai lavori. Io sono stata solo un’osservatrice. Ogni tanto minaccio di rimettermi a suonare, ma il violino rimane saldamente chiuso nella sua custodia.

        1. Al contrario! ho sempre il terrore che il pezzo non vada bene, per cui finisce sempre che ci metto un’eternità a scrivere, ma mica posso sempre stare giorni a rimuginare, per cui alla fine mi “impongo” il coraggio.

          1. Questo è di per sé interessante… ma ora, prima che il sonno mi faccia cadere il naso sulla tastiera (e che riempia di hhhhhhhhhhhhh il messaggio) scappo a letto! Tu non muovere niente del post mi raccomando! 😀

  2. Questo l’ho visto! Come dici bene, il suo scarso talento è un pretesto per raccontare chi le sta intorno e a me Marguerite è piaciuta proprio per la ingenuità e sua purezza d’animo. Tra l’altro la Frot ha preso un Cèsar meritatissimo come miglior attrice protagonista.

    1. Meritatissimo, meritatissimo… il personaggio non solo è credibile nonostante l’assurdità di fondo, ma per quanto mi riguarda è stato delicato e per niente stucchevole. Sono curiosa di vedere come tratterà la tematica il film di Frears, ma ho il vago sospetto che punterà molto di più sul lato grottesco. Il bello di questo film è che sembra una piccola allegoria, è delizioso.

    1. Ti dirò, è molto meno grottesco di quello che sembra. La vicenda è plausibile se si prendono per buone le basi da cui parte. In fondo anche noi a volte ci convinciamo di qualcosa, fosse una dote particolare… saper suonare bene uno strumento o avere successo con le persone, saper parlare in pubblico… magari ci illudiamo di essere in un certo modo, ma non lo siamo. Qui è solo più evidente. Continuo a consigliartelo, è anche piuttosto buffo da vedere, non è un polpettone noioso, insomma, non è roba da intellettuali del kaiser, per intenderci.

        1. L’intolleranza è intolleranza, c’è poco da fare. Sono da sempre intollerante agli intellettualoidi del kaiser come ben sai, per cui ritengo opportuno segnalare la cosa anche ad altri potenzialmente intolleranti.

  3. Ed eccomi dopo averlo letto – dirai “che cu… ehm fortuna” – quali che siano le considerazioni sul personaggio diva-pessima-ma ricca, c’è sempre una macchina dello splendore dietro le quinte (l’opposto della macchina del fango) anche per quelle brave davvero. Qui viene il dubbio se una brava davvero lo sia stata anche per la macchina su detta o meno, oppure comunque avrebbe sfondato e dunque, chi si presta a far parte della macchina, quanto apprezza davvero l’arte e la sua interprete?
    Questo per dire che mi hai incuriosito e lo cercherò per dargli un’occhiata attenta.

    1. Hai ragione… mi viene da pensare a chi non riesce a emergere per via del proprio carattere magari, quando si dice “non sapersi vendere”, gestire la propria immagine, avere un valore in senso professionale ma non riuscire a farlo risaltare. Questione non da poco.

      1. …Sebbene in certi campi le spalle coperte le devi avere sennò, anche se ti sai vendere, neanche arrivi al negozio, e non parlo di editoria.
        Però, però, … sull’arte in particolare, cos’è un pittore senza i suoi galleristi, o una cantante senza pubblico (compiacente)?

        1. Certamente la sostanza deve pur esserci… altrimenti non c’è finzione che tenga, la resistenza mentale o le capacità sono quello che ti portano a un livello superiore, cosa che non sempre può succedere per fenomeni più “costruiti” a tavolino. L’arte è un altro discorso, forse perché più soggettiva, fra l’altro nel caso della Jenkins il seguito c’era (e anche abbastanza compiacente), ma mentre lei forse aveva la convinzione di essere una Tebaldi, il seguito di cui sopra la voleva per farsi due risate. Dipende dai punti di vista.
          Apro parentesi: fra tutti i commenti che leggo sotto il pezzo, scherzosi o meno, devo ammettere che a volte l’articolo andrebbe riscritto, perché chi lo legge fornisce una bell’arricchimento al pensiero iniziale.

          1. E’ così, succede anche a me. Si può dire che determinati contributori aggiungono valore all’articolo stesso e spesso andrebbero citati ad integrazione dello stesso.

  4. “Marguerite è la chiave di volta di una struttura più complessa, fatta di fraintendimenti, aspirazioni, tentativi di avvantaggiarsi, menzogne, finzioni”

    Questo per me è stato il senso del raccontare questa figura di donna (quale che si la realtà o la finzione) e la sua ‘fragilità’ il suo desiderio di andare oltre la bruttezza (di quella sì lei era cosciente) e illudersi di essere amata dal marito (“Lui è arrivato?”) che come gli altri la usa e quasi la sbeffeggia con l’amante.

    Non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire e quello della Margherite del film è solo desiderio di essere amata.

    sheramelo’amezzanotte(quasi)

    1. Quello di Marguerite è un personaggio delizioso, sotto un certo lato persino realistico nonostante la sfumatura grottesca. Ha una forza particolare, propria di chi combatte in silenzio senza “mendicare” attenzione. Quel voler essere amata passa irresistibilmente dal suo volersi realizzare e il bello di Marguerite è che non si risparmia, ci mette veramente l’anima. Io non so la Jenkins quanto si impegnasse con le lezioni e se sia sempre rimasta in quello stato, come cantante, ma sentire Marguerite cercare di imparare (e superare parzialmente i suoi limiti e le sue personalissime convinzioni) è stata un’ulteriore conferma su quanto fosse forte il suo personaggio. Forte, nonostante le illusioni.

  5. Pingback: (sorridi e spera) Io sono l’amore | sherazade2011

  6. Questo film è uno dei più belli che io abbia visto in questi ultimi anni. Peccato che in Italia non abbia avuto il successo che si merita. La Frot è bravissima a interpretare l’ingenuità di Marguerite, la sua dolcezza e il desiderio d’amore per il marito. Ma anche altri interpreti sono all’altezza del ruolo: il domestico, ma soprattutto il cantante lirico italiano che si adopera nel tentativo disperato di migliorare la voce di Marguerite. I suoi grandi occhioni bovini, in primo piano, parlavano e comunicavano più di mille parole. Alla fine tutti si innamorano di Marguerite, persino il marito… e noi spettatori.
    Nicola

    1. Veramente, è un bel film, delicato, struggente e… reale, nonostante tutto, anche se sembra una favola nasconde molta verità. Inizialmente avrei pensato di trovare un film grottesco, puntato tutto su un personaggio inutilmente sopra le righe, invece è un trattatello sulla natura dei rapporti, per niente scontato. E lei, come si fa a non innamorarsene? una donna deliziosa.

A te la parola