Un bel giorno la signora Planck pensò di prendere una tazza di tè. Lasciò che il gatto entrasse in casa, scese le scale e si avviò verso il parco.
Oltre l’arco di pietra, il parco di villa Petri si apriva su un lungo viale bordato d’alberi che andava dritto verso un’altra uscita nella cinta muraria, sempre ad arco e segnata da due vasi con alberi di clementine. Tutto intorno, si trovava il giardino all’italiana di questa villa del Seicento, un tempo adibita a casino di caccia, quindi lasciata più o meno all’incuria in una lunga sequela di vicende piuttosto noiose. Dopo un lungo di silenzio dalla morte dell’ultimo proprietario nel 1947, qualcuno decise di schiodare le assi che chiudevano l’ingresso settentrionale ed entrare nella tenuta. Fino a quel giorno, erano pochi a ricordarsi cosa ci fosse in quelle mura. Fantasmi? Bovini che sputavano fuoco? Strano a dirsi, ma l’intruso non scoprì niente di tutto questo, solo una villa color ruggine nascosta da massicci cedri del Libano, un giardino invaso dalla gramigna e una piccola dependance vicino all’ingresso. Col passare delle settimane, le assi non vennero ripristinate, anzi, si ritenne tacitamente opportuno lasciare che la villa venisse per così dire adottata dalla collettività, o meglio, da chi si era appena rammentato della sua esistenza. Nessuno si oppose e la vita continuò esattamente come prima, con la sola differenza che il giardino tornò a essere curato, che la villa venne messa in sicurezza e che la dependance venne trasformata in un chioschetto che offriva tè, caffè e dolci fatti in casa. Nuovamente frequentata, villa Petri diventò qualcosa di simile a una biblioteca, innestandosi silenziosamente nella quotidianità della zona.
Continua a leggere “II. Villa Petri”