Una cosa divertente che non farò mai più / David Foster Wallace

Infinite Jest copertinaHo iniziato ad avvicinarmi a David Foster Wallace nel modo meno traumatico possibile: maturando la decisione di leggere Infinite Jest (1996). Il merito va innanzitutto alla lettura di un articolo di questo blog (in particolare di una frase, “Se mai nella vita siete stati tristi, capirete che cosa vi è successo per davvero. Se non vi è capitato, imparerete a rispettare le ombre.“), secondariamente alla fama del libro, qualcosa al limite del romanzesco. Eterno, noioso, pressoché impossibile da leggere. Il libro capace di cambiarti la vita. Il romanzo distopico (fra le altre cose) da 1281 sopravvalutatissime pagine – di cui 100 di note. I più blandi si limitano a sottolineare un certo autocompiacimento stilistico. Qualcuno un po’ meno blando l’ha definito pura e semplice “spazzatura americana”. Se un libro solo era in grado di suscitare reazioni tanto diverse, cosa avrebbe rappresentato per me? Decisa a darmi una risposta, sarei andata in libreria di lì a poco.

Infinte Jest si fece subito riconoscere. Mai mi era capitato che un commesso volesse esprimersi su un mio acquisto, ma quel libro rese possibile anche questo. Una recensione breve e non troppo richiesta: “Mò proprio quer libbro? so’ cazzi tua fija mia”. Aveva ragione. Sarebbero stati veramente “cazzi mia”, ma non è di questo che vorrei scrivere ora. Dopo qualche giorno di lettura, ho dovuto mettere da parte Infinite Jest e quando l’ho potuto recuperare, ho preferito fermarmi. Volevo ricominciarlo dall’inizio, ma in un secondo momento. Nel frattempo, avrei letto qualcos’altro di Wallace: Una cosa divertente che non farò mai più (Minimum Fax, III edizione, 2012).

Una cosa divertente che non farò mai più
Copertina della prima edizione della raccolta di saggi edita da Little Brown & Co.

Una cosa divertente che non farò mai più (1997). Nel 1995 Harper’s commissiona a David F. Wallace un reportage su una crociera extralusso, la “7 notti ai Caraibi” (o 7NC), a bordo della M/V Zenith. Shipping out – on the (nearly lethal) conforts of a luxury cruise (gennaio 1996), pubblicato un mese prima di Infinite Jest, è a oggi molto probabilmente il suo saggio più conosciuto. Reportage, diario di viaggio e piccolo saggio antropologico: pur essendo un testo articolato e in grado di toccare tematiche come il male di vivere, non cessa mai di essere ironico, profondamente ironico. Andando più a fondo emerge amaro il ritratto di una complessa macchina per l’intrattenimento, una critica talvolta feroce alla logica del turismo di massa, ad abitudini, ossessioni e desideri più o meno indotti. Si fa leggere voracemente e ha il pessimo difetto di finire troppo presto (parere strettamente personale).

Nel 1997 darà il titolo a una raccolta di saggi curata dalla Little Brown & Co., A supposedly fun thing I’ll never do again; nello stesso volume compare David Lynch keeps his head (1996), il resoconto scritto per Premiere circa i giorni passati sul set del film Lost Highway (1997).

Cartolina Zenith motonaveCostruita a Papenburg nei cantieri navali Meyer Werft su commissione della Celebrity Cruises, la M/V Zenith viene varata il 31 ottobre 1991 ed entra in servizio il 4 aprile dell’anno seguente. Fra l’11 e il 18 marzo 1995, uno scrittore americano sale a bordo della Zenith e la ribattezza col nome Nadir. Dal 2007 la nave passa sulle rotte del Mediterraneo per la Pullmantur Cruises, compagnia al tempo già proprietà della Royal Caribbean. Fra 2007 e 2013 a bordo della nave scoppieranno due incendi, uno nel 2009 mentre è in porto a Stoccolma, l’altro nel giugno 2013, a poche miglia da Venezia. La storia della M/V Zenith non si esaurisce qui; dopo una ristrutturazione, nel 2014 passa alla Croisières de France ed è tuttora in servizio.

Nadir/nadiriti. La storia dei nadiriti, pur durando ufficialmente una settimana, non si è mai interrotta. Il nadirita medio ama macchine fotografiche e videocamere, si sposta in gruppo e scambia pareri sul motivo/giustificazione che lo spinge a fare una crociera. Il “relax” è quello che va per la maggiore. Si fa fotografare con iguane1Partecipa a escursioni organizzate e balla a ritmo di conga. Assiste a spettacoli a base di cannoneggianti navi pirata. La tradizione si perpetua, i viaggi della Zenith/Nadir proseguono; chiunque sia stato a bordo di navi come queste potrebbe seriamente rivedersi nel racconto di Wallace.

Una cosa divertente che non farò mai più è un libro divertente, molto divertente. Se non altro, è così che viene presentato sulla quarta di copertina2 e possiamo ben crederci, ma c’è qualcosa in più, un rumore di fondo che attraversa tutto il testo, talmente forte da diventare sempre più incisivo, pagina dopo pagina. Quando parlerà di disperazione, Wallace, spezzerà la linea di una narrazione brillante e ironica; è a quel punto che lo stupore diventa una confidenza spontanea quanto dolorosa. L’autore sottolinea senza mezzi termini come in determinati frangenti, su una nave dove l’unica scelta pare sia il divertimento, si possa intuire di non essere in grado di sfuggire alla propria solitudine, a sensazioni disperanti o alla coscienza di avere dei limiti. La satira è una componente ben presente, ma non è mai solo questione di satira. Il titolo originale del saggio contrappone alla fun thing (la “cosa divertente”) l’ombra sottile di un supposedly, timido suggerimento di come quella felicità pretesa come tale potrebbe non essere un fatto condiviso. Si suppone che questo tipo di viaggio sia divertente, ma la questione potrebbe essere più complessa. Qualcosa non torna, ed è a quel qualcosa Wallace dedica il suo saggio.

D’altra parte, Wallace nota come il nadirita possa avere un bizzarro concetto di divertimento, visto che l’intrattenimento somministrato a bordo di una nave è totalmente gestito da professionisti in quel campo. Ciò avviene consapevolmente: il nadirita sa già che non avrà “altra scelta se non quella di [divertirsi]” (p. 24); non avrà nemmeno l’incombenza di desiderare qualcosa. È uno stato che Wallace paragona alla vita di un feto nel ventre materno, a bordo di una nave il cui “motore è il battito del cuore della mamma” (p. 51).

A bordo della Nadir, così come annuncia pomposamente la brochure a pagina 23, farò (caratteri in oro): “…qualcosa che non fate da molto, moltissimo tempo: Assolutamente niente“. Quanto tempo è che non fate assolutamente niente? […] So con precisione quanto tempo è passato dall’ultima volta che ogni mio bisogno è stato esaudito senza possibilità di scelta da qualche forza esterna, senza che dovessi farne richiesta o addirittura ammettere di averne qualche bisogno. E anche quella volta galleggiavo nell’acqua, in un liquido salato, e caldo, ma poi nemmeno troppo – e se per caso ero cosciente, sono sicuro che non avevo paura e che mi stavo divertendo un sacco e che avrei spedito cartoline dicendo a chiunque “vorrei che fossi qui”. (p. 25)

Il primo passo è favorire un’ebrezza che accolga fin dall’inizio, così come viene raffigurata nel primo capitolo del saggio; Wallace cerca di raccogliere tutto, ben consapevole della difficoltà della cosa. Lo stordimento iniziale e finale – quando si tratterà di tirare le somme – si traduce in un capitolo che non è narrazione, ma un elenco casuale di esperienze, sensazioni e colori. Le tinte accese dei bagagli e dei nastrini che reggono gli occhiali, il disgusto per l’ambiente dell’imbarco contro la bellezza del mare al largo, fino al “profumo che ha l’olio abbronzante su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente” (p. 5)

Ho visto videocamere che praticamente richiedevano un carrello; ho visto valigie fosforescenti e occhiali da sole fosforescenti e più di venti tipi di ciabatte infradito. Ho sentito tamburi da banda di paese e ho mangiato frittelle di sgombro e ho visto una donna in lamé argentato che vomitava a getto dentro un ascensore di vetro. […] Ho imparato che in realtà ci sono intensità di blu anche oltre il blu più limpido che si possa immaginare. […] Sono stato oggetto in una sola settimana di oltre 1500 sorrisi professionali. […] È abbastanza? In quei momenti non sembrava mai abbastanza. […] Mi sono sentito depresso come non mi sentivo dalla pubertà e ho riempito quasi tre taccuini per capire se era un Problema Mio o un Problema Loro. (pp. 6-9)

Tutto è esagerato, maestoso, illimitato o quasi. Prima dell’imbarco, basterebbe leggere una brochure sulla nave prescelta, osservare l’alveare di cabine o scorrere i numeri di bar, ristoranti, locali, piscine, piscine idromassaggio, cinema, negozi, ascensori. A bordo, la nave è di per sé un intrico in cui inizialmente può essere difficile orientarsi e ogni ambiente è arredato decisamente spesso in modo al limite del pacchiano. Il cibo è presente come lo vogliate immaginare, pressoché a qualsiasi ora del giorno. Le giornate sono all’insegna del “Facciamo tutto!” e la vita subisce un’accelerazione straordinaria. Parafrasando un abusato modo di dire, quello che succede a bordo, rimane a bordo: potrebbe sembrare che molti lo abbiano preso alla lettera, comportandosi di conseguenza. In tutto questo, Wallace sprofonda al solo pensiero della caproscopofobia, neologismo descritto dal suo autore come “terrore patologico di essere considerato un caprone” (p. 89, nota 80). Quando sale a bordo, il nadirita sembra vivere uno strano complesso di colpa che non gli fa ammettere di voler salire su quella nave perché desidera farlo, per quel

“pudore universale che accompagna la soddisfazione dei propri desideri, il bisogno di spiegare praticamente a chiunque che la soddisfazione dei propri desideri in realtà non è la soddisfazione dei propri desideri. Tipo: io non vado mai a farmi un massaggio semplicemente per farmi un massaggio, ci vado perché questo vecchio dolore alla schiena che mi sono procurato facendo sport mi sta ammazzando e allora mi obbliga a fare i massaggi; oppure: non è che voglio una sigaretta, io ho bisogno di una sigaretta.” (pp. 38, nota 24)

Il nadirita/Wallace, invece, sembra avvertire una certa vergogna quando si specchia nel nadirita medio e non c’è da stupirsi, considerando il parere al limite del distruttivo che ha nei confronti del turismo di massa, in generale, e dei turisti americani nel particolare.

C’è qualcosa di inequivocabilmente capronesco in un turista americano che si muove all’interno di un gruppo. Hanno una certa flemma avida. Anzi, abbiamo. Nel porto diventiamo automaticamente Peregrinatores Americani, Die Lumpenamerikaner. Gli orrendi. Per me, la caproscopofobia è una ragione persino più forte della semi-agorafobia per decidere di restare sulla nave quando attracchiamo nel porto. È nel porto che mi sento coinvolto più di ogni altro momento, colpevole di associazione percepita […]. Per tutta la settimana mi sono ritrovato a fare tutto il possibile per distinguermi, agli occhi dell’equipaggio, dal gregge di caproni di cui faccio parte, per discolparmi in qualche modo: evito le macchine fotografiche, gli occhiali da sole, i capi caraibici dai colori pastello […]. (pp. 89-90)

foto rifiutate fotografo crociera Ian Hughes
Una delle foto di Ian Hughes scelte per entrare nella raccolta “Love Boat Rejects“; in un’intervista il fotografo ricorderà come i passeggeri anglosassoni, importunati all’ora del thè, rispondessero spesso con “Fuck off, I’m having my tea!”. Il caso di questa foto, insomma.

Negli anni ’90, il fotografo Ian Hughes ha lavorato su alcune navi da crociera e nel corso di una ventina d’anni ha raccolto una serie di foto fra quelle mai acquistate dai passeggeri che vi erano ritratti. Una galleria di personaggi abbigliati in modo stravagante, dallo sguardo atterrito, depresso o assurdamente euforico, al limite dell’assunzione di sostanze stupefacenti. Questa è solo uno dei momenti in cui il nadirita rivela quanto possa essere interessante da osservare, al di là del parere di Wallace. Per quanto mi riguarda, avrei voluto osservare meglio le persone che mi hanno circondato e il lato sottilmente grottesco che a volte sanno esternare. Oscuri personaggi in mutande (non in costume, in mutande) e accappatoio  al buffet. La signora che da in escandescenze perché vuole “avere i suoi spaghetti immediatamente”. Un’altra signora che tenta di corrompere (peraltro senza offrire alcunché, rendendo poco appetibile la transazione) la commessa dell’angusto cinema di bordo per avere una proiezione personale gratis. Tanto, assicura la suddetta, “non l’avrebbe saputo nessuno”. Infine, un inquietante sosia di Enzo Ferrari, a quanto pare nato a Lucca, ma con un forte quanto inspiegabile accento siculo. Durante un’escursione con spettacolo, tenta in ogni maniera di circuire una danzatrice del ventre; la signorina era turca e visibilmente non capiva un’acca, limitandosi ad annuire e farsi infilare denaro nel costume di scena. Il campionario di Wallace, però, è qualcosa di inarrivabile. È interessante la quantità di materiale che ha saputo annotare, fra la bambina che lo sconfisse a scacchi (e relativa madre/manager al seguito) e il dee-jay giocatore di ping pong che lo sfidò per un cappellino di SpiderMan, Capitan Video e il malinconico ragazzino col parrucchino. Fa caso a sé il tavolo 64 del “Ristorante Caravelle a cinque stelle”, con la ragazza che ruberà il compleanno di un’altra. Torta compresa.

unsplash fondo del mare

Il rumore, però, finisce. La cosa peggiore da fare – forse – è passeggiare sul ponte scoperto, tardi la sera, quando la nave è illuminata e continua la navigazione in silenzio; gli ambienti interni sono deserti e alcuni rimangono chiusi al pubblico per pulizie più profonde. La nave è talmente luccicante da non lasciar vedere le stelle; c’è solo quell’immensa volta nera. Affacciandosi dal parapetto, a malapena si può intravedere la scia di schiuma allargarsi ai lati dello scafo e guardando verso l’orizzonte, l’aria è nera, talmente scura che potresti portare avanti una mano e aspettarti di toccare qualcosa. Non c’è nulla intorno; ti trovi in alto mare e non hai granché idea di dove tu sia. C’è solo un gran silenzio e il buio inizia sulla linea dei tuoi occhi. È allora che forse diventi consapevole di come ci sia una differenza enorme fra una distrazione frammentata in molteplici punti di fuoco, eccitata dalla quantità e dalla grandezza, e l’attrazione concentrata su un solo punto, qualcosa di oscuro e immenso che è unione di tutto quello che c’è intorno a te, a perdita d’occhio. E tu ci sei sopra, galleggiando.

C’è un episodio che ha fatto notizia a Chicago. […] un ragazzo di sedici anni fece un capitombolo dal ponte più alto di una meganave – mi pare della Carnival o della Crystal: un suicidio. Secondo il tg si trattava di pene d’amore adolescenziali, […] Secondo me c’era qualcos’altro sotto, qualcosa che nessun servizio del telegiornale sarà mai in grado di raccontare. In queste crociere extralusso di massa c’è qualcosa di insopportabilmente triste. […] soprattutto la notte, quando il divertimento organizzato, le rassicurazioni e il rumore dell’allegria cessavano – io mi sentivo disperato. Ormai è una parola abusata e banale, disperato, ma è una parola seria, e la sto usando seriamente. […] Forse si avvicina a quello che la gente chiama terrore o angoscia. Ma non è neanche questo. È più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati senza alcun dubbio alla morte.

L’assenza del rumore lascia emergere qualcosa di inaspettato, forse l’unica componente vera, incontrollabile e incontrollata di questo viaggio. È una sensazione di libertà assoluta mista a una sorta di sgomento; Wallace la associa all’oceano, alla morte, alla disperazione, esattamente quello che deve essere evitato, quando organizzi un intrattenimento totale. Scegliere di gestire il viaggio per mare significa avere a disposizione le potenzialità di una grande leggenda di libertà e ricerca di conoscenza, le storie e il prestigio del periodo d’oro dei transatlantici, ma di tutto questo probabilmente non rimane che un guscio vuoto. Il mare, l’oceano e tutti i problemi a esso connessi sono uno spiacevole contrattempo; questa forza incontrollabile non ha alcuna intenzione di sottostare alle leggi di marketing e consuma inevitabilmente qualsiasi cosa lo attraversi.

“L’acqua del mare corrode le navi a una velocità impressionante – le arrugginisce, scrosta la vernice, mangia lo smalto, le rende opache; la carena è costellata di crostacei e resti di alghe e una forma ubiquitaria di moccio marino che sembra incarnare la morte. Abbiamo visto dei veri orrori nei porti, barche immerse in un misto di acido e melma, devastate proprio da ciò che permette loro di galleggiare. Questo non riguarda le navi delle megacompagnie. Non è un caso che siano così bianche e pulite, poiché è evidente che devono rappresentare il trionfo calvinista del capitale e dell’industria sulla primitiva forza del mare.” (p. 16)


Il resoconto di Wallace sa ridurre al minimo le barriere fra autore e lettore, come se scorrendo i suoi appunti di viaggio l’autore ci raccontasse quello che ha visto, senza tralasciare particolari comici, pensieri malinconici e riflessioni sul cambiamento delle proprie impressioni dall’inizio alla fine dell’esperienza. L’autore può esagerare certi aspetti nella sua descrizione, come nel caso dell’epopea di Petra, l’assistente di cabina che crea la perfezione in trenta minuti netti e ci aggiunge anche un cioccolatino alla menta. Iniziando da questo, possiamo valutare tutto quello che sta sulla superficie di un comportamento, la solerzia nel fare un dato lavoro, passando a quello che sta in profondità: l’analisi dei sorrisi “professionali” dell’equipaggio, il fatto che Petra potesse nutrire un certo risentimento nei confronti dell’ospite da viziare ogni misura, le condizioni cui sono sottoposti coloro che lavorano a bordo. Le considerazione che Wallace fa sono valide allora come adesso. C’è Petra, ma anche il facchino che non può permettere al passeggero di portare lui stesso il bagaglio, pena il licenziamento. Sicuramente sono fatti risaputi, ma personalmente, prima di partire per una crociera non ne sapevo niente e col senno di poi mi sono pentita di non essermi informata prima, ma almeno i “danni” sono stati relativi3. Devo ammettere che avrei voluto leggere questo libro molto prima.


1 Una di queste foto campeggiava nella casa di una conoscente di cui non farei il nome nemmeno sotto tortura, forse anche perché non lo ricordo. La foto, però, la ricordo benissimo, soprattutto lo sguardo assassino dell’iguana in contrasto con l’espressione soddisfatta della ragazza, ignara di essere in pericolo di vita. Grazie a Wallace, so che potrebbe essere una prassi consolidata almeno dal 1995.

2 Capolavoro di comicità e virtuosismo stilistico” o “ormai diventato un classico dell’umorismo postmoderno e al tempo stesso una satira spietata sull’opulenza e il divertimento di massa della società americana”.

La sera prima del ritorno fanno scivolare sotto la porta della cabina un foglietto rosa. Pensavo fosse un velato invito a mollare quella tazza che programmavo di portarmi a casa, ma non si trattava di questo. Era un conto. Da nadirita e per giunta ignorante, scorro la lista e vengo a sapere di aver avuto la generosità di devolvere due euro a un’associazione benefica di scelta della compagnia navale e che avrei dovuto pagare una quota obbligatoria giornaliera (service charge). Due euro sono una cifra irrisoria, non contesto questo, inoltre fare beneficenza può essere positivo e gratificante, se hai fiducia nel fatto che i soldi arrivino e che quando arrivano siano usati a dovere, ma soprattutto se sai di fare beneficenza. Lo dico e lo ripeto: nei contratti ci sta scritto tutto questo e io sarei nel torto se vi dicessi che sono stata raggirata. Tuttavia, sarei ugualmente nel torto se omettessi il fatto che, al momento del pagamento ai banconi adibiti, ho assistito a scenate da tragedia greca. C’era chi aveva da ridire sul pagamento del service charge nonostante l’acquisto un pacchetto completo e chi non aveva fatto caso a quanti extra aveva fatto segnare sul conto. Vere scene di disperazione, non sto scherzando. A casa, poi, gironzoli per forum e sono tutti lupi di mare, sembra che tutti sappiano qualsiasi cosa, citando pagine e cataloghi dell’una o dell’altra compagnia. Veri professionisti da crociera. Curioso, perché ho avuto l’impressione di non essere la sola. Eravamo in parecchi, ma c’è poco da lamentarsi e fa parte anche questo del divertimento, magari non nostro, ma di chi sa che quando prenoti una vacanza lo fai troppo a cuor leggero, oppure che se sei a bordo hai solo voglia di berti qualcosa al bar, un cocktail ora e uno dopo, senza stare a fare i conti. D’altra parte, queste cose le sanno tutti, magari non le sapeva il mio vicino di cabina, incazzato come una biscia per quei 650 euro di extra, magari non io, che mi chiesi che fossero quei soldi in più da pagare per il service charge. “Dovevano aspettarselo, dovevano saperlo, in fondo lo sanno tutti”. No, cazzarola, non tutti lo sanno, il problema c’è e dovrebbe essere considerato. Il minimo è favorire una migliore informazione: se proprio, dovrei poter scegliere. Non essere un beccaccione, informati bene, non fare come me o come i miei vicini di cabina. E poi sai cosa? vuoi berti tanto quanto hai speso per il biglietto della crociera in Black Russian e Margarita? Sono fatti tuoi, l’importante è che sia una tua scelta e non il risultato di una disattenzione incoraggiata…

52 pensieri su “Una cosa divertente che non farò mai più / David Foster Wallace

  1. DFW mi piace von un po ti fatica. ..
    Ora ho capito dove eri sparita.
    Ti prego scusami se leggero più in la xche un Mi puace è più che guadagnato nn fosse che per la fatica!
    Sherabuonanotteabbracciosa

    1. Sono sparita veramente… in un mese ho letto due libri di Wallace e ne ho iniziati altrettanti, uno è Oblio che sto continuando e l’altro ovviamente è Infinite Jest, di cui ho letto circa 130 pagine e che considero troppo “immenso” per leggerlo ora. Anzi, ti dirò, la cosa che mi preoccupa di più è che mi piace e molto… solo che lasciarlo non letto per troppo tempo ha sbiadito un po’ il filo del discorso. E se ti fermi a 130… ricominci. Leggi quando vuoi, il brano è moooolto lungo e capisco che possa essere drammatico da metabolizzare 😀

  2. Stai seguendo le orme di Mesner, scalando le vette degli 8.000 della letteratura. Voglio le foto di te all’ultima pagina con la neve tra i capelli che sorridi sulla vetta del mondo letterario! 😀
    Qui non si tratta di leggere e basta, ma di sfidare le pagine e le parole ivi scritte. Wow c’hai fegato ragazza.

    1. Aahaha m’hai ricordato quel commesso alla Feltr… vabbé si può fare pubblicità? insomma, mica me l’aspettavo ‘sto tizio, mi guarda con quella faccia stravolta… “so cazzi tua”…è successo sul serio e cavolo se me ne sono accorta… il problema sai quale sarebbe? che mi piace, e mi conosco, lo vivisezionerò quel libro e sarà la mia fine 😀 quel poco che ho letto m’è piaciuto più di quanto avrei sperato, ma alla fine ho capitolato… Meglio iniziare da questo saggio, è veramente un libro carino, anche se profondo, a volte ti fa fare delle belle risate. Infinite Jest mi attira tantissimo, ma devo finire Oblio e riprendere L’idiota, che ho perso praticamente per strada – molto colpevolmente. Ma sai come vorrei riprendere ora? vediamo che fine faccio eh, nel caso foto accordata 😀

        1. Infatti vado sempre molto volentieri in quella libreria in particolare, anche se fa parte di una grande catena, perché chi ci lavora – se non altro quelli con cui ho avuto a che fare – sono veramente bravi. Sono bravi, forse, perché hanno un’opinione sui libri, li amano e te lo fanno capire, senza tuttavia essere prevaricanti. Ieri ci sono andata, per esempio, e ho chiesto di “Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi” (la biografia di Wallace); il commesso ha sorriso e abbiamo scambiato due parole su quel testo. Mi ha fatto un gran piacere. Ti puoi sentire a casa, in quella libreria, anche se è sempre affollata e sei lì essenzialmente per comprare.

    1. Sulla crociera posso capire, indipendentemente dall’averne fatta una o meno forse si può già capire se farà per noi o meno. Ci sono aspetti che non condividerei nemmeno io a prescindere… ma su Wallace come mai? se posso chiedere ovviamente 🙂

      1. So che è una sciocchezza, ma questi autori moderni che spiegano la vita, la stigmatizzano mostrandone tutte le bassezze sguazzandoci dentro, per dovere e con sagacia, mi risultano indigesti a pelle. Magari mi capiterà di leggere qualcosa e cambierò radicalmente idea. Per ora però è cosí.

        1. Il tuo è un parere comprensibile e io almeno per adesso non mi sento di scriverti molto a proposito, principalmente perché non conosco a fondo Wallace e mi ci vorrà molto tempo, ma da un lato sarei tentata di scriverti che forse nel suo caso non è da annoverarsi appieno in quell’ambito. Ambito che piacerebbe ben poco anche a me, tant’è che leggo pochissimi contemporanei, proprio per la paura di trovare qualcosa come l’hai descritto tu. Se non altro, il Wallace dei saggi non è così, mi pare. Quelli che ho letto finora mi hanno comunicato anche molto ottimismo, persino una spinta concreta all’abbandono del cinismo a prescindere… Però su questo ci voglio tornare su, perché è un lato energico di Wallace che inizialmente non pensavo di trovare. Non è solo buio fortunatamente 🙂 sennò ti posso garantire che non ce la farei a leggerlo 😀

            1. Sicuramente 🙂 anche perché se c’è una cosa che ti posso garantire è che Wallace rifuggiva tutto ciò che lo potesse incasellare ed etichettare, non voleva diventare un’icona anche se poi c’è diventato… leggerlo significa sempre trovare qualcosa che non ti saresti mai aspettato.

              1. Non lo so, questa precisazione, mi lascia perplesso: non voleva diventare un’icona però lo è diventato. Perché temeva sarebbe diventato un’icona? Aveva letto il futuro? Sono prevenuto, scusami ancora.

                1. Ecco… non so da che parte iniziare… credo che avesse un rapporto complicato con la fama derivata dalla sua attività di scrittore, consolidata in IJ. Il problema fondamentale era il modo in cui si percepiva e in cui pensava di essere percepito, da persona affetta da grave depressione, conscio di avere una certa popolarità. Credo che detestasse andare in televisione. Non posso confermartelo, sarebbe materia da indagare, anche solo il dibattito che c’è stato intorno a questa figura sin da quando era in vita. Il suicidio fu probabilmente quello che lo rese un’icona. Che si aspettasse di diventarlo, un’icona, non saprei, ma sicuramente non voleva diventare qualcuno da “incasellare”, non lo voleva a prescindere. Ho usato il termine “icona” in modo improprio, pensando col senno di poi a cosa sarebbe diventato, ma non so fino a che punto se lo aspettasse. Il futuro no, magari non lo leggeva (nemmeno il passato, questo è appannaggio di pochi come sai), però da persona che deve convivere con la depressione, forse immaginava qualcosa che avrebbe odiato o temuto. Vorrei averti spiegato in modo esaustivo tutto quello che posso, ma ammetto i miei limiti 🙂 e non scusarti di essere prevenuto 😀 mi fa piacere discutere!

                  1. Sei chiarissima ed esaustiva. Tu dici che non mi devo scusare per la mia prevenzione ma io non so se faccio bene ad essere cosí rigido con le mie sensazioni.
                    Vedrò fra qualche lustro e magari proverò a dirti allora! 🙂

  3. Devo leggerlo. Foster Wallace poteva scrivere di qualsiasi argomento, riuscendo comunque a farti desiderare che il saggio non finisca più (e ci si impegnava, a farlo durare il più possibile…). Io ho letto (e, per quel che vale, consiglio) le raccolte di saggi “tennis, trigonometria etc etc” e “considera l’aragosta” e… Beh, DFW era un genio, sicuramente, e riusciva (come hai scritto) a cogliere i lati ironici, quelli tragicomici e quelli tragici e avvilenti. Inoltre si sforzava di essere il più possibile onesto col lettore, regalandogli tutte le diramazioni dei pensieri e delle impressioni dell’autore.
    Non sono mai stato in crociera, ma credo di capire FW quando parla dell’obbligo al divertimento, di quanto male faccia il silenzio in certe situazioni (non è molto diverso trovarsi, per esempio, in una località turistica balneare in pieno inverno)…
    Invece Infinite Jest l’ho iniziato ma non credo lo finirò mai. Mi dà la sgradevole impressione che l’autore faccia tutto il possibile per rendere la vita impossibile al malcapitato lettore… Magari io non sarò abbastanza attrezzato, ma non ci ho capito niente, e la trovata degli anni sponsorizzati mi sembra troppo grottesca (e vabbè, si sopporta) e, peggio ancora, fa venire il mal di testa a chi vorrebbe avere un’idea abbastanza precisa del “quando”, che dovrebbe essere un diritto! 🙂

    1. “Poteva scrivere di qualsiasi argomento”, verissimo. E renderla interessante, avvincente. Il caso di “Considera l’aragosta”, il saggio sulla diatriba linguistica è uno dei miei preferiti in assoluto. Riesce a ricavare da qualsiasi tematica un significato che non è detto sia per forza profondo, ma che sempre si rivela significativo, per lui o per chi legge, per rivelare un pezzo della sua storia o per spiegare la tua. Passa dalla linguistica al valore della comunicazione attraverso un sistema di regole piuttosto che un altro… e mi arriva a spiegare in modo molto piano come mai ho avuto una vita scolastica del cavolo. Non scherzo… il discorso che fa a quella classe sulla lingua dell’autorità è perfetto. Vicino ai ragazzi e brutalmente sincero.
      Sto leggendo Oblio, ma “Tennis…” mi attira molto. Infinite Jest lo affronterò prima o poi… dal poco che ho letto devo dire che ho avuto l’impressione che fra gli spazi di luce per quei frammenti che ho amato di più, ci fossero brani difficili dal punto di vista strettamente grammaticale, come se veramente lui volesse correre al massimo. Sai quelle auto senza aiuti tecnologici, abs, roba del genere (non me ne intendo e si sente), ma potentissime? che se non sai guidare il primo muro è garantito? Ecco, così vedo Infinite Jest, qualcosa di potenzialmente ingestibile e fatto apposta per essere così. Cambierò idea sicuramente, devo leggere molto di più di quello che non abbia fatto. Per ora mi affascina.
      Sulle località turistiche… io ci sono nata in una località turistica, spiagge e mare d’estate e niente d’inverno. Hai perfettamente ragione. Il silenzio, però, nel mio caso, lo cerco… mi piace il mare dell’inverno e quella volta che ho avuto occasione di viaggiare su una di quelle grandi navi, la sensazione che mi è rimasta di più è stata proprio quella disperante della notte, il mare nero e il vento. Stranamente direi 😀 ma forse lo è per me solo perché sul mare ci sono nata.

      Leggilo se ti capita, secondo me non ti deluderà 🙂

      1. Me lo segno, sicuro. (Mi sto chiedendo perchè mai non l’abbia già comprato e non so rispondermi)
        Infinite Jest… mi sa che è troppo per me, mettiamola così: mi sa che nel mio caso è il muro a venirmi addosso mentre sono ancora fermo! 🙂
        Il silenzio… E’ sempre così,/ non è vuoto il silenzio:/ si riempie di noi
        voglio dire: quello che il silenzio ti offre dipende da come sei fatto dentro, o almeno credo.
        Buonanotte e ogni bene 🙂

  4. Di DFW ho letto Considera l’aragosta e stavo morendo dalle risate per il mondo surreale che descriveva, dalla convention del porno alla festa dell’aragosta (da qui il titolo) nel Maine.
    E poi ho letto la scopa del sistema, bellissimo, anche se l’assenza di note mi ha spiazzato.

    IJ non so se e quando lo leggerò. Per ora lo regalerò a un amico per il compleanno (lo desidera da tempo), poi noi i libri ce li scambiamo quindi di sicuro dopo finirà in mano mia.

    Un regalo interessato 😀

    1. Considerare l’aragosta contiene veramente di tutto. Il saggio che citi è uno dei più drammaticamente assurdi quanto divertenti, dalle capigliature delle dive del porno fino alle spiegazioni minuziosissime che fa del gergo utilizzato sui set dei film… è comico perché prende tutto sul serio forse, ancora rido per quella nota sul “legnaiolo” o per i titoli che cita… anche Considera l’aragosta come raccolta lo consiglierei immediatamente, soprattutto per iniziare. Infinite Jest è un po’ troppo forse. E simpatica questa cosa del regalo, mi piace 😀 😀 avercene di amici così…

        1. Giustamente, alla fine lo fai per il suo bene no? 😀 😀

          ps. sai che quando ho dovuto scegliere fra iniziare Oblio e La scopa del sistema ho scelto il primo pensando “vabbé com’è che questo non ha le note!”. Non che sia una grande motivazione, mi rendo conto, ma tanto alla fine lo leggerò lo stesso, con o senza note 😀 sarà bello bello ugualmente

  5. Zeus

    Non ho mai letto niente di DFW… e non so se incomincerò adesso. Il tuo post me lo sono divorato in un boccone e tieni conto che ho la soglia d’attenzione di una scimmia intossicata dall’alcool… perciò è un complimento non da poco.
    Ma c’è qualcosa che mi trattiene dal prendere in mano un suo libro. Non penso sia quello che diceva il buon Ysingrinus, mi piace lo stigmatizzare la società rotolandosi al suo interno come un maialetto nel fango, ma piuttosto qualcosa di indefinito che, ad ora, non mi porta a leggere certi saggi.
    Forse non sono pronto.

    1. Credo che se avessi conosciuto questo scrittore prima di adesso, non l’avrei letto, mi è successo con altre cose… libri che mi attiravano ma che finivo per lasciar perdere, poi “tornavano” quando meno me l’aspettavo. Se lo vorrai leggere, lo leggerai 🙂 con i tuoi ritmi. Questo nello specifico sulle crociere e l’intrattenimento è forse più ombroso di molti altri… per esempio ce n’è uno al limite dell’assurdo sull’industria dei filmini per adulti, con il resoconto degli oscar del porno… voglio dire… chi se l’aspettava una cosa del genere? io no di sicuro, ma mi sono fatta un casino di risate, su tutto, anche sul commento circa la recitazione degli attori. Si si, recitazione. Un giorno – forse – sarai pronto per questa roba allucinante 😀 nel frattempo… grazie del commento, ho apprezzato anche il complimento 🙂

      1. Zeus

        Tu hai lo stesso rapporto con i libri che io ho con la musica. Interessante. Comunque sì, penso che dovrò approcciarmi a DFW quando sarà il momento e, forse, cercarmi qualcosa di più “leggero” con cui iniziare (grazie a te mi sono letto anche il link su come approcciare IJ…).
        A me piacciono i libri scabrosi, perciò anche quello sull’industria osé (guarda che termini, ne sono orgoglioso io stesso eheh) potrebbe andare…
        Nel frattempo ho scoperto un bel blog. Ti seguivo, ma adesso ti seguo con maggiore interesse.

        1. Credo di aver finito pochi libri a confronto di quanti ne ho iniziati; di quelli che ho finito ricordo sempre la storia di come ci siamo incontrati e parlo di “incontro” assolutamente a proposito. Uno dei miei libri preferiti (Domani nella battaglia pensa a me) l’ho trovato appena uscito e mi colpì da subito con il titolo e la copertina (un cavaliere in armatura in ginocchio), ma non lo lessi perché ero troppo giovane e non mi sentivo nemmeno di leggerne la quarta di copertina. Me lo ritrovo davanti pochissimo tempo fa, su consiglio di un’amica. Credo di averlo letto in pochi giorni ed è stato più coinvolgente di quanto mi aspettassi. Succede sempre così, un po’ come con le persone grosso modo 😀 Wallace l’ho trovato per caso e mi ha colpito particolarmente, ma davvero, iniziare dai grandi romanzi è a difficile. Davvero, vedrai che il saggio che ti dicevo (Il figlio grosso e rosso, sta nella raccolta Considera l’aragosta) è simpatico, ma… a suo tempo. Tanto ne riparleremo.
          Grazie del commento, ho apprezzato tantissimo 🙂

          1. Zeus

            Se mai leggerò qualcosa di DFW ti farò sapere (o lo metterò sul blog, se avrai voglia di passare… ma non trattenere il fiato, che non sarà una cosa veloce eheh).
            Mi è piaciuta molto la storia sull’incontro con il libro (Domani nella battaglia pensa a me).

  6. Bella questa analisi, rende bene il contenuto e lo stile del libro. Di Wallace ho comprato Considera l’aragosta, ma devo ancora iniziarlo. Infinite Jest, da quello che scrivi, forse è meglio tenerlo per ultimo, dopo aver fatto un necessario rodaggio con altre sue opere.

    1. Infinite Jest è stato troppo anche per me, devo ammetterlo. Ha completamente oscurato tutto quello che stavo leggendo di altro, mi pareva di avertelo accennato: ho abbandonato quasi a metà L’idiota (e voglio ricominciare pure lui, detesto riprendere i libri in corsa dopo troppo tempo 😀 ) per quel libro, ma è troppo. Capisco assolutamente la tua scelta e la condivido, non è semplice iniziare da lì. Ora, leggendo Oblio (uno degli ultimi libri, per cui lo stile è all’apice o quasi della sua evoluzione), mi rendo conto che se avessi iniziato da quel libro sarebbe stato ancora peggio di Infinite Jest, lo stile è particolarissimo, fatto di punteggiatura spesso minima e periodi decisamente complessi. Comunque, sono al primo racconto e ho iniziato il secondo da poco, per cui prendi queste considerazioni come provvisorie. Non so se avrei apprezzato la cosa “da subito”; il primo racconto è breve, ma almeno per me di difficile assimilazione. Iniziare dai saggi è meglio, le tematiche sono quelle tipiche, come l’intrattenimento, la molteplicità dei punti di vista, la manipolazione attraverso il linguaggio e del linguaggio… Considera l’aragosta l’ho letto ed è perfetto per iniziare, vedrai che è anche molto divertente 🙂

  7. Io tendenzialmente leggo poco, lo sai, son piu avezzo alle immagini, come i bambini che nel libro guardano i disegnini, pero’ il post e’ spettacoloso!!!! Aspettando il resoconto della TUA di crociera …. Un salutone

    1. Effettivamente è una bella sfida, ma… cosa ti ha spinto a fare il tentativo? (a parte questo caso, sono sempre curiosa di sapere cosa ci spinge a scegliere un libro piuttosto che un altro)

  8. Pingback: Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi / Frida – Tersite

    1. Non ho tardato ad accorgermene, questo te lo posso assicurare 🙂 non sono riuscita ad addentrarmi molto, ho preferito fermarmi e riprendere da altro, ma da un lato mi ha dato molto anche a una prima, parzialissima lettura. La lettura “seria” non sarà rimandata ancora a lungo…

  9. Poiché l’ho letto e riletto trovandolo veramente un gran libro (o racconto lungo?) e poiché ho rivissuto alcune scenette descritte, ritorno su questo articolo in realtà per citare un altro tipo di crociera:

    Che dire… da fare almeno una volta nella vita.

    1. Non male come crociera, non male affatto! direi che possa essere ben più divertente della crociera media… anche perché Wallace su certe cose ha ragione, viaggi come quelli possono avere lati veramente tristi.
      Poi, considerando che questo testo sia stato originariamente concepito come reportage per una rivista… sembra troppo complesso per non essere definito anche come “libro”. Poi, se proprio vogliamo, potremmo definirlo anche solo pamphlet. Ogni volta che Wallace si è cimentato con un reportage… ha finito con il creare qualcosa di decisamente più complesso. Su soggetti diversissimi, dalla festa dell’aragosta agli oscar dei film porno (per dire).

      1. Indubbiamente il buon Wallace aveva un stile nel creare frasi “incidentali” magico. Un feeling nel sotto-pensiero nel pensiero parallelo splendido. Descrive una cosa e ne spiega 2. Maestro.
        Gli sia lieve la terra…

  10. La mia esperienza: DFW l’ho incontrato con Brevi Interviste con Uomini Schifosi. Mi aveva interessato la struttura inedita, m’era piaciuto qualcosa dei contenuti, ma l’impressione generale era di una creazione artefatta, di un’originalità cercata a tutti i costi. Poi sono passato a Una cosa divertente, per curiosità, per vedere il rapporto con l’altro titolo. E ho trovato una cosa diversa, metabolizzabile. Ho trovato tutto quello che tu descrivi e brillantemente analizzi. Inevitabile, che passassi a Infinite Jest. E daccapo ho avuto l’impressione di un manufatto artificioao di plastica, snob, non so, l’ho piantato.
    Attenzione, io ho esordito dicendo che questa è la mia esperienza. Non giudizio. Dal quale mi astengo. Infatti, un confronto diretto verbale con te non escluderebbe conclusioni per me in questo momento imprevedibili. Siamo infatti in un campo dove tutto è terribilmente relativo. Oso dire: umorale.
    Resta che un applauso in ogni caso ti è dovuto: per l’impegno e la qualità. Questi per niente relativi, ma obiettivamente riscontrabili.

  11. Wallace è un po’ artificioso, obiettivamente è vero, ma non è una cosa su cui mi sia soffermata moltissimo. Non si tratta solo di stile, elaborato senz’altro, ma proprio di una natura profondamente contorta connessa direttamente al suo autore. Sapeva bene come lambiccarsi il cervello, c’è poco da fare. Credo che questo traspaia molto spesso in tutta la sua produzione, anche se non sempre. C’è un capitolo di “Il re pallido” che sembra una poesia: non è possibile cambiare nessuna delle parole utilizzate, ognuna ha un ritmo che concorre a dare una musicalità particolare al testo. Il traduttore, in questo senso, non deve aver avuto vita facile. Quel capitolo nello specifico fa parte di quella schiera di testi solo in apparenza lineari e “docili” per il lettore. La stessa cosa vale per Una cosa divertente che non farò mai più. Si potrebbe dire di questo testo che sia molto “amichevole” e “piano”, gradevole, quasi discorsivo. Eppure, anche qui ci sono passaggi non strettamente autobiografici, la realtà è stata corretta in modo da sembrare più interessante o assurda, ma tutto viene fatto passare come “vero”. Una cosa divertente che non farò mai più è semplice solo in apparenza. Ci sono poi testi come Oblio in cui questa propensione all’artificioso e alla ricerca spasmodica del particolare raggiunge livelli preoccupanti. Ho messo da parte la sua lettura, perché proprio non riuscivo ad andare avanti. Mentalmente, tutto è elaborato, preciso.
    Posso capire, insomma, che Wallace risulti persino snob, non posso negarlo. Lo risulta a maggior ragione quando chi legge magari subodora quell’indugiare nella complessità. Nella biografia di Max, ricordo di aver letto come la sorella di Wallace avesse fatto proprio al fratello un appunto su Infinite Jest che suona un po’ così… “c’era veramente bisogno di scrivere un libro di millanta pagine per raccontare il rapporto pessimo che hai avuto con nostra madre?”. Mi fece pensare quando la lessi, questa cosa, ora a maggior ragione.

  12. «C’era veramente bisogno di scrivere un libro di millanta pagine per raccontare il rapporto pessimo che hai avuto con nostra madre?», troppo splendida!!!! Ho riso, e sarà anche che è esattamente sulle corde del mio modo di pensare.
    Colgo anche la tua precisazione a seguire, non da poco.
    In ogni caso, grazie per l’attenzione da te riposta, mi hai dato delle dritte produttive.

    1. A volte dai commenti capisco quanto ci sia bisogno di riscrivere un pezzo, il confronto può ampliare il proprio punto di vista. Sicché come al solito, anche io ringrazio te 🙂

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