M. Gummo/ Gummo (Harmony Korine, 1997)

Fratelli Marx Zeppo Gummo Groucho Harpo Chico
Rara foto con tutti i fratelli Marx. Dall’alto: Groucho, Zeppo, Harpo, Chico, Gummo.
Milton Gummo Marx
Milton Marx

Milton Marx, ovvero: come essere una persona “normale” in un contesto “anormale”. Il quinto fratello Marx, descritto dallo scrittore Edward Sammis come quello “sano di mente”; è l’unico cui “avresti potuto fare una domanda incivile e aspettarti una civile risposta”.  Debutta giovanissimo a fianco dello zio Julius, ventriloquo, senza riscuotere grande successo. Nel 1907 forma con il fratello Julius e Mabel O’Donnell il trio canoro vaudeville “Wayburn’s Nightingales”. Seguono “The three nightingales” e altre formazioni; solo dopo anni e molti esperimenti falliti avremo “The Marx brothers”, con un distacco sempre più marcato dal vaudeville basato su danza, musica e canzoni. Lo spazio per Milton è sempre più modesto. Leggenda vuole che nel 1915 il monologista Art Fisher, notando l’abitudine di Milton nel calzare scarpe con suole di gomma, lo soprannomini “Gummo”. Se Julius Marx diventerà “Groucho”, Milton non sarà mai un vero “Marx”. Milton lascia le scene nel 1918 per arruolarsi nell’esercito, ma non andrà mai oltreoceano; viene sostituito da Zeppo. A guerra terminata, lascia il business di famiglia per gestire un’azienda manifatturiera. Produce impermeabili. Inventore, benché modesto, deposita un brevetto per un sistema di stoccaggio. Abbandona anche questa strada. La sua fortuna sarà ancora lo spettacolo, per cui dimostra di avere un discreto intuito: insieme a Zeppo si rivela uno dei più quotati agenti di Broadway. Gummo conosce il vaudeville e lo spettacolo, i gusti del pubblico e il fenomeno “fratelli Marx”. Sarà sempre una figura di riferimento per i fratelli, che aiuterà su ogni versante, umano e lavorativo. La sua morte nel 1977 viene nascosta a Groucho, di salute già molto cagionevole. Da un certo punto di vista, Gummo Marx era tutti i fratelli Marx e nessuno, una presenza importante sebbene dietro le quinte. Bravo ballerino, buono per un certo vaudeville, ma meno per il repertorio dei nuovi fratelli Marx. Non interpreterà nessun film con i fratelli. Non ha gli occhi e l’espressività di Harpo. Non ha il carisma di Groucho. Un uomo assolutamente normale. Faccia piena, modestamente corpulento, non troppo espressivo. Con una scomoda aria da brava persona.

GummoGummo (1997) è uno strano omaggio di Harmony Korine a Milton Marx e al vaudeville, un film dalle tinte autobiografiche e la raffigurazione di un brutale pezzo di realtà. Rappresenta la vita di un microcosmo di reietti, brulicante all’ombra di una società distante. La cittadina di Xenia è stata devastata da un tornado; i sopravvissuti alla tragedia riprendono le loro vite come possono, vivendo di espedienti e cercando una normalità che inevitabilmente sfugge. Normalità che può essere cercata in un frappè alla fragola o all’ananas, in un pasto cucinato dalla propria madre – o nella prescrizione del Ritalin. Impossibile: ogni vita è stata devastata, padri di famiglia sono morti a causa di malattie o per l’uragano stesso, lasciando figli senza punti di riferimento, abbandonati a loro stessi.

Gummo è un film duplice, sul crinale fra realtà (e iperrealismo, anche nelle riprese) e assurdo; le due componenti sono pressoché inscindibili e difficili da distinguere, pressoché fuse. C’è stato realmente un uragano a Xenia e Korine usa per la sua pellicola immagini originali dell’epoca; è il cosiddetto “super outbreak” che ha colpito parte degli Stati Uniti fra il 3 e il 4 aprile 1974. A Xenia il tornado fa più di 30 vittime, oltre a danni massivi. Gummo però non è stato girato nell’Ohio, ma a Nashville, nel Tennessee, dove è cresciuto lo stesso Korine. Il lato autobiografico viene supportato da un ulteriore elemento di realismo, usando pochi attori professionisti. La trama stessa ha uno sviluppo atipico. Come afferma Korine in un’intervista su Index Magazine, una sorta di filo narrativo in Gummo esiste…

“…solo è magari più nascosto, è più l’idea che una trama possa scaturire da associazioni di idee, in virtù di scene l’una di seguito all’altra, poste di seguito, piuttosto che in una forma narrativa. E’ come osservare un album di foto. C’è una foto con te di fronte a un castello o forse a un monumento. E poi accanto a quella c’è la foto che hai scattato di Michael Jackson. Se guardi a queste indipendentemente, senza conoscere il contesto, potrebbero sembrare singole o casuali. Ma solo perché sono affiancate, nasce una sorta di narrazione. Così funziona per Gummo. E’ così che Gummo è stato scritto.”

Gummo Tummler Solomon
Tummler e Solomon

In questo mondo, l’uragano è quasi un pretesto per dare l’innesco alla vicenda. Di fatto, non è mai svanito, fa parte della sostanza di ogni singolo personaggio: i punti di riferimento non ci sono più – se mai ci sono stati – e tutti sono come in balia della propria frustrazione. Le priorità sono alterate: una ragazza scopre di avere un tumore al seno e si preoccupa soprattutto di non attirare più i ragazzi dopo l’operazione. Genitori che non possono essere genitori per i loro stessi figli, più immaturi di loro. Tummler (Nick Sutton) rimprovera il padre per la sua incapacità di essere padre, per il suo andare a messa ad ascoltare il vangelo e poi fare due soldi rubando; soprattutto, forse, rimane ferito dal disinteresse sempre dimostrato per la madre, morta di tumore. Scontri generazionali si consumano fra padri canzonati per aver perso contro il figlio a braccio di ferro, da amici mezzi ubriachi che non hanno nulla di meglio da fare che passare il tempo giocando a sfasciare sedie. Dot (Chloe Sevigny) è come una madre per le sorelle, facendo quello che può per essere una guida; di fatto è una bambina anche lei, una figlia di nessuno con il ritratto del presidente Kennedy in bella mostra, nella casa affogata nel disordine. Le case di Xenia sono disordinate, occupate da mucchi di spazzatura e insetti. I ragazzi si destreggiano come possono: si comprano pochi minuti di paradiso con i soldi guadagnati vendendo gatti morti, un paradiso artificiale ricreato con la colla da carpentiere. La morale è sospesa. Un uomo fa prostituire una donna affetta da sindrome di down, tenuta in una stanza da letto ovattata, vestita e truccata  come una bambola, che sembra non vendere il proprio corpo, ma tenerezza e amore.

GummoE c’è Korine. Sul divano, in un lungo surreale monologo, ma soprattutto in una scena cardine del film. Come Solomon nel film, da bambino Korine mangiava in vasca, mentre faceva il bagno. Anche questa istantanea è declinata secondo il contesto della pellicola. Solomon è in una vasca piena di acqua sporca; mangia un piatto di pasta poco appetibile, condita con sugo di pomodoro e polpette. Sua madre gli lava i capelli. Barbie mezze nude sono messe alla meno peggio come in una strana installazione artistica dietro di lui, sul porta oggetti a muro. Una fetta di bacon spicca sulle piastrelle blu. Sporco e calcare intorno ai bordi della vasca. Una costante di tutto il film, che contrasta almeno apparentemente con la pulizia di due ragazzi che suonano alla porta per vendere dolci. La madre di Solomon (una grande Linda Manz) va ad aprire e compra da loro un torroncino che poi lascia mangiare al figlio. La telecamera segue i ragazzi fuori dalla casa: possiamo così renderci conto di come lo sporco si possa annidare anche sotto la pulizia di un’apparenza fasulla. Non c’è nessuna beneficenza, i due ragazzi affermano contando i soldi di voler solo guadagnare denaro per comprarsi donne, insegnanti, auto… Una scena che nella sua interezza sa riassumere gran parte del microcosmo di Gummo.

The four Nightingales, 1909
The four Nightingales, 1909:

Dov’è il Gummo del titolo? Gummo e il vaudeville sono nell’improvvisazione che guida la quasi interezza della pellicola (almeno il 75% dello script), nella varietà di immagini e personaggi. Proviene da vaudeville il tip tap della madre di Solomon e i personaggi al confine fra realtà e stereotipo. Vaudeville è il “freak show”, che Korine mette in scena senza alcun timore, mostrando e non interpretando – inquietante la fan albina di Patrick Swayze. Il personaggio di Tummler, poi, è doppiamente vaudeville: per il monologo da varietà in casa della prostituta e per il suo stesso nome. Il “tummler” nel vaudeville è il comico di bassa lega, l’intrattenitore che riscalda il pubblico prima del pezzo forte negli spettacoli, che non teme di usare la volgarità come l’arguzia. Tummler passa infatti da momenti più bassi/comici all’espressione di un pensiero più profondo, oscuro e sofferto. Il suo modo di esprimere un abisso che non riesce a colmare.

Tummler: “Caro mondo, sono confuso dalle oscure elucubrazioni del mio cervello. Ho cercato, ho cercato in tutti i modi di farcela in questo schifoso mondo, ma credo che il primo errore sia stato quello di nascere. Non ho nessun senso di colpa per il mio suicidio. Ho provato alla vostra maniera. Ho sempre lavorato da quando avevo 13 anni. Lavorare per vivere non è mai stato un problema per me. Il problema è che sono circondato dall’oscurità. E’ buio. Ora mi punto la pistola alla testa e sparo.”

Il vaudeville è nella precisa scelta della colonna sonora: la musica come ossatura dello spettacolo, la componente che accompagna e rafforza la visione. Il vaudeville è il “Bunny Boy”, un ragazzino con le orecchie rosa da coniglio che anima scene di intermezzo e introduzione, tutte significative e intessute di riferimenti simbolici. Magnifica la sequenza finale: Cryng di Roy Orbison, già citata nel corso della pellicola in riferimento al fratello di Tummler, accompagna un climax ascendente che passa nuovamente per le immagini originali del tornado di Xenia, fino al Bunny Boy che corre dal fondo di un campo d’erba alta, fino davanti allo spettatore. Qui abbiamo un finale che riunisce tutte le trame, senza eccezione, perché per tutti c’è solo una “morale”: l’uragano non si è mai spento, il vento non ha mai cessato di soffiare, i punti di riferimento sono sempre più precari e questa è una realtà sempre più amara con cui dobbiamo fare i conti. Volenti o nolenti. Anche quando smetteremo di vedere questo film.

16 pensieri su “M. Gummo/ Gummo (Harmony Korine, 1997)

  1. ecco, lo sapevo se stati troppo silenziosa…gatta ci cova ed io mi affaccio, sbircio, mi lecco il dita come fosse nutella e non posso che tornare, sedermi e gustare tutto il barattoletto 😉

    sheramannagiattèmifaisempressereimpreparatapiccinapiccina

  2. Buonasera!! Non è un film facile, non lo è stato nemmeno per me che l’ho apprezzato praticamente da subito – l’ho visto sulle 4-5 volte, più vari pezzetti visti e rivisti. E nemmeno ho scritto tutto… mancano tante cose. Questo film è complesso e incompreso, per cui io stessa mi sono posta il problema di esserne all’altezza. Accomodati pure, spero ti piaccia 🙂 comunque ti lascio il link dove ho letto di Gummo e che mi ha spronato a scriverne. Lui ne ha saputo scrivere benissimo, si vede che conosce la materia. (http://ultimavisione.wordpress.com/?s=gummo) ci sono anche dei riferimenti ad altri registi, tutti molto pertinenti. Credo sia un’integrazione praticamente necessaria al mio super-polpettone 😉

  3. Ho letto adesso con interesse crescente e visto i bideo ma pur immergendomi nella tua analisi perfetta e ‘ godevolissima’ non potrei utilizzare i tuoi argomenti x …fare bella figura. Dovrei leggere con più convinzione. Domani forse passerà la mia indolenza ma sotto antibiotici resto ko.
    Sherabuonanottesenzapioggia

  4. Mi citi quando il mio unico merito e’ aver contribuito a farti scrivere. Anzi mi piace pensare di essere il cappello al tuo post , che va ben oltre a quanto tempo e capacita’ mi hanno permesso di scrivere. Voglio dire, il “ragazzo coniglio” meriterebbe solo lui fiumi di byte pur avendolo saltato a pie’,pari. Mi poni oltretutto una bella questione, quella dell’origine spirituale di Korine. Non ci ho mai pensato su. I registi che mi emozionano visceralmente non m’inducono a pormi troppe domande e li vivo di stomaco ma hai ragione, Korine merita uno sforzo ulteriore.
    Ti aspetto su “Mister Lonely” e “Spring breakers”. Se passi anche da “Trash humpers” fammi un fischio…

    1. Grazie delle tue parole… Certo che ti cito 🙂 è il mio personalissimo modo di ringraziarti, se non ci fossi stato tu probabilmente non avrei mai affrontato un regista così interessante. Presto ammettere questo dopo aver visto solo un film, ma non importa, mi ha autenticamente rapito, un pugno allo stomaco – ho visto pochi film così tante volte. E l’ultima scena è stata, credo, il colpo di grazia. Con “Cryng”, poi. Io ho questo difetto, credo opposto al tuo approccio: quando amo un interprete (mettiamo Volonté) o un regista (qualsiasi o quasi di cui ho già trattato) sarei capace di spaccare il capello in quattro. E ciò è pessimo: se da un lato è un modo per fare mio totalmente quello che ammiro, dall’altro… finisco per dare forse troppa realtà al tutto. Quando invece dovrebbe essere solo “bellezza” ed “emozione”. E’ qualcosa con cui devo fare i conti. Per la tesi su un film della Riefenstahl, ho analizzato tutto inquadratura per inquadratura, non so come spiegartelo… Una cosa maniacale che mi ha permesso di analizzare la tecnica di montaggio. Ma sempre una cosa maniacale… che dubito ripeterò mai. Nella vita.
      Questo “Gummo” l’ho scritto in circa una settimana, ma è stato drammatico perché a ogni angolo scoprivo qualcosa di nuovo. Perché il ritratto di Jfk non era solo… il film è una galleria di particolari, tutti più o meno sensati. L’ho pubblicato, ma avrei continuato a studiare ancora una o due settimane. Volevo scrivere un pezzo unico solo sul vaudeville e su Milton Marx (personaggio cui mi sono affezionata particolarmente – mi ha commosso), poi ho deciso di non esagerare.
      Spero di trovare gli altri film di Korine, non fosse altro perché ho adorato Gummo. Cercherò.
      Ps. in giro ci sono interviste a Korine favolose, alcune delle quali solo sul vaudeville. Ha una profondità inaspettata ‘sto ragazzo.

      1. Credo che la concomitanza dei comuni intenti nasca proprio dal non fermarsi alla singola opera e con tempi e forme diverse, proseguire in una analisi piu’ approfondita.
        Ad esempio sono diversi anni che mi riprometto di studiare vita e opere della Leni ma il tempo… prima o poi…
        Confesso di aver letto il giusto di e su Korine piu’ per scelta che altro, evitando troppe spiegazioni e razionalizzazioni, lasciandolo astratto col giusto grado di contesto attorno. Si, c’e’ metodo e sostanza e ce n’e’ tanta che ancora oggi ormai dopo 20 anni o quasi di suoi film, e’ difficile inquadrarlo e non per incoerenza, anzi credo che abbia un piano del quale ha mostrato soltanto una parte, Mi piace pensarlo cosi’.

  5. Fondamentalmente anche io la vedo come te, a proposito. Ora, per me è presto parlare di Korine e del suo sviluppo, ma generalmente ho pensato che tutti gli autori che ho apprezzato avessero in comune la crescita in un percorso anche artistico, di espressione, di contenuti… Se poi mi confermi che in tutto questo tempo Korine è tanto difficile da inquadrare… Qui c’è un fiume carsico, vai a sapere quali detriti trascina con se e quanto ha ancora da portare in superficie. Nemmeno io penso che ci sia dell’incoerenza, ma forse tentativi, fallimenti e successi, Questo è meraviglioso, perché c’è la vita dell’arte e della ricerca personale. Insomma, camminando non andiamo sempre nella stessa direzione e a volte possiamo sbagliare strada. O volere semplicemente intraprendere più strade. Solo per vedere com’è. Un’arte perfettamente coerente non è arte, per quello che mi riguarda. Forse è più qualcosa di simile alla tecnica pura e semplice. Da questo punto di vista, la Riefenstahl è forse più tecnico che artista, per quanto le componenti ci siano entrambe. Era una sperimentatrice, ma non come Korine. Nella tecnica, quanto vuoi, nello stile, ma meno nei contenuti. La sua carriera è stata difatti abbastanza riconoscibile, ha fondamentalmente cambiato il soggetto da ritrarre. Parere mio eh… Korine, da quello che ho visto per ora, rimescola tutto, dal vaudeville all’iperrealismo… c’è di tutto… in una grande personale sperimentazione.

  6. Cara
    sai che mi hai colto in contropiede? Non ti vedevo apparire e avevo in mente di mandarti una tiratina d’orecchi con questa canzone 😉

    sheratiproebiscodifarmipiangerecapito?grazieseiunacarezzadelmiocuore

    ps “ritornerò” ora che sto meglio e con le tasche alleggerite di un bel po’

    1. Dai ma è bellissima 🙂 troppo meravigliosa… come questa versione qui, sai la stavo giusto ascoltando qualche giorno fa… grazie di tutto, mi sto un pochino commuovendo pure io…

  7. Ieri sera tardi(ssimo) ho visto Gummo.
    Con il bagaglio di tutto quello che ci hai scritto sono stata come mano nella mano ma le sensazioni sono rimaste molto forti come del resto lo è il film dal principio alla fine.
    Spiazzante.

    sherapresto

    1. Ah, Gummo è film di sensazioni fortissime… e a mio parere quasi insondabile… Ormai ho quasi perso il conto delle volte che l’ho visto e ogni singola volta mi ha praticamente sconvolto come la prima. Non me lo so quasi spiegare…
      ps. il prossimo film sarà molto più leggero di questo, eh… a prestissimo 🙂

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